Avevo 14 anni.
Non è l’età giusta per capire cos’è davvero la morte. Ma quando è morto mio nonno, non ho avuto scelta.

Lui non era solo un nonno. Era il mio secondo padre.
Mi ha trasmesso, in pochi anni, più di quanto chiunque abbia mai fatto: il rispetto per gli altri, l’amore per la natura, la serietà nei momenti che contano.
Lo amavo per la sua bontà. Per la sua semplicità.
Era la mia guida silenziosa. Il mio porto sicuro.

E se oggi ho un rammarico che non mi abbandona…
è non averlo più visto nei suoi ultimi giorni.
La sua malattia l’ha portato via lentamente. E io, forse per paura, per immaturità, non sono riuscito a salutarlo davvero.
È una ferita che non si rimargina.
Un silenzio che pesa più di tante parole. Ricordo di non avere mai pianto per la sua morte, lo volevo fare, ma non mi riusciva, e non sapevo il motivo.

La botta vera è arrivata dopo.
All’inizio, dopo qualche giorno ho continuato a vivere “come se niente fosse”.
Andavo a scuola. Mi sedevo al banco. Ma un giorno è successo qualcosa: mentre il professore parlava, mi sono reso conto che non riuscivo più a seguirlo. Blackout.
Come se fossi chiuso in una bolla.
Fuori c’erano le voci, il mondo, le persone. Ma non arrivavano più a me.

Nei giorni successivi mi sono lasciato andare.
A letto. Sempre.
Non volevo alzarmi. Non volevo parlare.
Volevo solo dormire. Dormire il più possibile.
E non era tristezza. Era vuoto.

Solo dopo diversi giorni ho iniziato a capire che qualcosa in me si era spento.
Che non ero più “me”.
Era l’inizio della mia depressione. La forma più silenziosa e ingannevole.
Quella che non piangi, ma che ti mangia da dentro.

Col tempo ho imparato a dare un nome a ciò che è successo.
Ma ci è voluto tempo.
Dolore.
E fatica.

Oggi vedo quel lutto per quello che è stato davvero:
un inizio, non solo una fine.
Mi ha tolto tutto, sì. Ma mi ha anche spinto a cercare dentro di me.
A ricostruirmi. A capire come funziona la mia mente.
E a trovare, tra le macerie, un significato.

Se hai perso qualcuno troppo presto, forse mi capisci.

Forse non riesci a realizzare subito. O forse ti senti vuoto senza sapere perché.

Ecco quello che ho capito, a distanza di anni:

  • Non affrontare il dolore a forza: va lasciato accadere, anche se fa paura.
  • Se sei troppo giovane per capirlo, va bene: lo capirai dopo, se hai il coraggio di guardarlo in faccia.
  • Il dolore autentico non distrugge. Trasforma.
  • Se riesci ad ascoltarlo, può elevarti come individuo.
    Ti cambia. Ti apre. Ti plasma.

Il lutto mi ha tolto tutto.
Ma forse mi ha anche dato il permesso di diventare davvero me stesso.

Se senti che un vuoto ti sta portando via pezzi, che sia per una perdita o per l’ansia che ti soffoca, sappi che non sei da solo. Potresti trovare un’eco anche nelle mie esperienze sull’ansia sociale, dove anche un piccolo passo verso la luce può diventare un’impresa vera. Se vuoi, scopri cosa mi ha aiutato QUI.

Il lutto che mi ha tolto tutto