La mente non ha ossa, ma quando si spezza fa rumore.
Non si vede. Eppure pesa. Quando sta male, la mente può diventare un macigno. Un fardello che solo chi lo porta riesce a sentire. Lo porti in testa, ma grava ovunque: sulle spalle, sullo stomaco, sulle gambe. Ti schiaccia al suolo anche se da fuori sembri in piedi.
Una delle scene che più mi ha segnato è successa durante una cura farmacologica. Gli antipsicotici avevano spento la mia mente. Letteralmente. Mi trovavo seduto sul terrazzo, con lo sguardo fisso nel vuoto. Non riuscivo più a pensare. Non era calma: era cemento. Pensieri bloccati, zero movimento. Era come se i miei recettori fossero isolati tra loro da blocchi di pietra. Nessuno poteva aiutarmi, anche se ero circondato dalla mia famiglia. Ero solo. Solo io potevo capire la densità del peso che avevo in testa.
Ecco perché il dolore mentale fa più paura di quello fisico: non si vede. Nessuno sa se il tuo cervello sta marcendo, sta implodendo, o sta urlando aiuto in silenzio. Se il tuo cuore si ferma, lo sentono tutti. Se la tua mente va in cortocircuito, devi accorgertene da solo. E per me, solo uno psichiatra Umano è stato in grado di vedermi davvero. Di sentire il mio dolore senza che io dovessi usare troppe parole. Ma anche in quel caso, devi avere una predisposizione naturale: la voglia di essere capito. Aprirti. Farti leggere anche negli sguardi, nei micro-gesti.
L'invalidità fisica la noti. Ha una sedia a rotelle, ha una cicatrice sul volto. L'invalidità mentale è fatta di sbarre invisibili. È una gabbia trasparente. E in certi casi, più subdola e più frustrante. Ricordo una frase da Shutter Island: "Cosa sarebbe meglio? Vivere da mostro o morire da uomo per bene?". Una domanda crudele. Ma centrata. Sei costretto a vivere da mostro per un certo periodo, consapevole che tornerai più stabile e forte. Morire non è un'opzione, perchè la sofferenza è crescita, questa è la mia conclusione.
Spesso il dolore mentale lo porti addosso come un mantello. Invisibile, ma presente. Un po' ti fa schifo, un po' ti seduce. Ti rende diverso, ti rende altro. Ma ti isola. Durante una fase psicotica, bastava una goccia di ansia per farmi vomitare. Tutte le mattine, prima di entrare a scuola, vomitavo in una busta della spesa. Nessuno lo sapeva. Nessuno doveva vederlo.
Quando sei in una stanza di 5 metri quadrati con voci, distorsioni, pensieri che si rincorrono, dolore, angoscia e nebbia mentale, capisci cos'è davvero l'inferno. E non è uno scenario fittizio. È la casa della tua mente.
Per anni ho vissuto tutto questo concentrandomi solo sulla mente. Pensavo fosse il motore, il centro. Solo dopo ho capito che anche il corpo è un radar. Spesso, quando la mente era spenta, il corpo cercava di salvarmi. Ti invita al riposo, al respiro, alla lentezza. Ma tu devi imparare ad ascoltarlo. Nessuno ti insegna a farlo.
Non scrivo tutto questo per sembrare un eroe. Non voglio nemmeno il riconoscimento per la sofferenza. Anzi. A volte mi vergogno ancora. Ma sento il dovere di parlare di ciò che pesa e non si vede.
Perché in tanti parlano solo quando guariscono. Io invece scrivo anche per chi non ce l'ha fatta. Per chi è rimasto dentro.
E per chi, come me, ha imparato a convivere con un cervello che non si vede, ma pesa più di un corpo intero.