La paura negli occhi dei miei genitori
Ricordo il primo incontro con lo psichiatra.
Io ero altrove, confuso, incasinato dentro. Ma quello che ricordo davvero è lo sguardo dei miei genitori. Occhi tesi, il respiro trattenuto.
Era la paura di perdermi.
Un figlio che non riconosci più, che dice cose strane, che guarda nel vuoto, che parla di essere spiato o di voci.
In quel momento ho capito che loro non avevano solo paura della mia malattia.
Avevano paura anche per amore verso di me.
Il grande amore è silenzioso
I miei genitori non urlavano.
Non mi hanno chiuso in comunità, non mi hanno cacciato, non mi hanno mai fatto sentire uno sbaglio.
Hanno scelto di esserci in silenzio, ma con una presenza che sembrava dire: “Tu non ce la fai, ma noi ti reggiamo lo scheletro finché non torni in piedi”.
Mi lasciavano spazio. Ma poi venivano a letto con me, quando il panico mordeva. Mi tenevano la mano. Mi chiedevano:
“Cosa senti?”
“Chi ti urla nella testa?”
“Siamo qui con te”.
E se sono qui a scrivere oggi, è perché qualcuno ha vegliato sul mio dolore mentre io ero troppo debole per sentire anche solo il mio nome.
Mai odiati in fase psicotica. Solo gratitudine
Non li ho mai odiati durante la fase psicotica. MAI.
E questo, purtroppo, non è così comune.
Ci sono figli che in preda alla psicosi spezzano il legame. Alcuni distruggono, urlano, colpiscono. Io no. Io ho sempre avuto un motore chiaro: l’amore.
L’amore per chi mi ha fatto nascere e poi ha scelto di rinascere con me, ogni volta che io crollavo. La malattia ti può inglobare, anche con pensieri intrusivi, ma devi e puoi comprendere che tutto quello che pensi DEVE restare nel tuo cervello malato in fase psicotica.
Ho rubato anni ai miei genitori
Non mi nascondo dietro niente.
Ai miei genitori ho rubato anni di vita.
Nel dolore, nella preoccupazione, nell’incertezza.
Quando moriranno, e solo a scriverlo mi si stringe il petto, so che il loro cuore sarà in parte consumato dalla mia battaglia. Non si meritavano tutto questo.
Eppure non me lo hanno mai fatto pesare.
Hanno fatto quello che pochi genitori sanno fare oggi:
non cercare un colpevole. Non impormi la loro idea. Non scappare.
Hanno retto. Come colonne greche.
Io crollavo. Loro restavano.
A loro io devo la vita
Non ho mai detto davvero tutto questo.
Forse perché certe cose fanno troppo male per essere dette a voce.
Ma ora lo scrivo, nero su bianco:
Grazie di esistere.
Grazie per le persone che siete.
Per aver trasformato un vostro passato difficile in un nostro presente d’amore.
Per aver spezzato la catena.
Per avermi dato solo amore, forza e libertà, anche quando non lo meritavo.
Ai miei devo tutto.
Se servisse, salterei nel fuoco per loro. Senza pensarci.